Guido Crepax

MOSTRA | Valentina in camera

Guido Crepax (1933-2003)

Nato a Milano nel 1933, Guido Crepas, in arte Crepax, crea il suo primo album a fumetti a dodici anni. Durante il liceo, continua a disegnare per se stesso e gli amici di sempre (Claudio e Gabriele Abbado, Emilio Tadini e il fratello Franco), realizzando illustrazioni e giochi da tavolo dedicati a sport, come il ciclismo, l’atletica leggera, il calcio. Mentre studia architettura al Politecnico di Milano (dove si laurea nel 1958), nel 1953, disegna la sua prima cover per un disco di jazz, alla quale ne seguiranno centinaia di altre, anche di musica leggera, classica e audiolibri, per etichette come La Voce del Padrone, Carish e Ricordi.

Notato dal mondo della grafica pubblicitaria, realizza campagne per importanti realtà, come Shell (Palma d’Oro per la pubblicità nel 1957), Campari, Esso, Standa, Periodici Rizzoli, pneumatici Dunlop, tessuti Terital e -più tardi- Iveco, Fujifilm, Breil, Honda e Sharp. In quaranta anni di attività, ha disegnato migliaia di interpretazioni finalizzate: copertine di libri (per Bompiani, Garzanti, Sonzogno e altri); illustrazioni per periodici femminili (da Novella a Marie Claire), riviste di settore (Galaxy e Velocità) ed enciclopedie (come Le Civiltà, di Vallardi); per trent’anni, copertine e rubriche scientifiche di Tempo Medico (la sua collaborazione più duratura) e, ancora, foulard e paraventi per la Rinascente; immagini per collezioni di moda (in particolare, il nuovo marchio Robe di Valentina, dedicato al suo personaggio principale); biancheria per la casa (per Zucchi), piastrelle (Cotto Veneto) e altri elementi di arredo.

Nel 1965, grazie alla rivista Linus, torna ai fumetti per creare il personaggio che lo ha reso famoso in tutto il mondo: Valentina, la bella fotografa milanese con il volto dell’attrice Louise Brooks, prima e unica eroina dei fumetti che sia invecchiata con il suo autore. Gli altri personaggi femminili da lui creati vivono, invece, in una dimensione assolutamente fantastica, come Bianca, od onirica, come Anita; e, anche, Belinda, scatenata ragazza ye-ye degli anni Sessanta; Giulietta, giornalista in carriera degli anni Ottanta; Francesca, adolescente inquieta dei Novanta.

Meticolose e raffinate sono le sue trasposizioni a fumetti di diversi romanzi (come Il Giro di Vite, di Harry James, Il processo, di Franz Kafka, e l’Histoire de l’Oeil, di Georges Bataille); classici della letteratura erotica (Emanuelle, Justine, Histoire d’O, Venere in pelliccia e Casanova) e del terrore (alcuni racconti di Edgar Allan Poe, Dracula, Dottor Jeckyll e Mister Hyde e Frankenstein, l’ultima storia che ha disegnato). Attento e appassionato cultore di tutte le arti, ha creato storie dedicate alla musica classica e al jazz (da Bach a Charlie Parker), alla pittura e alla scultura (da Kandinskij a Moore). Ricostruzioni storiche come La Calata di Macsimiliano, L’uomo di Pskov e alcuni episodi della Decouverte du Monde, per l’Enciclopedia Larousse. Complessivamente, ha disegnato e scritto oltre cinquemila tavole a fumetti. I suoi libri sono stati pubblicati in più di duecento edizioni nelle principali lingue conosciute.

Ha lavorato anche per la televisione, disegnando caroselli e sigle; il cinema, collaborando con il regista Tinto Brass; e per il teatro, disegnando scene e costumi per una commedia con la regia di Luigi Squarzina e i costumi per l’opera lirica Lulu, di Alban Berg, diretta dal regista Mario Martone. Come artista puro, ha realizzato oltre cento opere a tiratura limitata tra serigrafie, litografie e acqueforti e tenuto decine di mostre personali in varie città d’Italia e all’estero. Di lui hanno scritto, tra gli altri, Roland Barthes, Alan Robbe-Grillet, Achille Bonito Oliva, Piero Chiara, Gillo Dorfles, Oreste Del Buono, Umberto Eco, Maurizio Fagiolo dell’Arco, Giovanni Gandini e Vincenzo Mollica. Inventare e realizzare bellissimi giochi da tavolo, sportivi o dedicati a grandi battaglie storiche, è stato il suo principale passatempo.

Guido Crepax ci ha lasciati il 31 luglio 2003.

«Crepax è un ottimo narratore; sa che l’immagine deve essere viva, raccolta in un lampo per non allentare mai la suspense. Sa che tutto deve essere riconosciuto immediatamente (i personaggi, gli oggetti, le intenzioni, i gesti), perché la logica voluttuosa della narrazione possa schiudersi subito, facilmente, nel lettore». Roland Barthes

«Con Crepax cambiava il senso del tempo nel fumetto, ovvero il rapporto tra spazio e tempo[…]: due inquadrature potevano suggerire contemporaneità, come se il lettore voltasse rapidamente la testa da una parte e dall’altra di una scena, cogliendo nello stesso istante due particolari diversi». Umberto Eco

inaugurazione

22 luglio ore 18:30

Periodo

dal 22 luglio al 4 agosto

Orari apertura mostra

9:30-12:30 / 16:30-19:30

Luogo

Galleria Cine Sud, via A. Passarelli 29/31 - 75100 Matera

Guido Crepax | Valentina in Camera

a cura di Maurizio Rebuzzini

Premessa d’obbligo. Premessa dovuta. Come legittimo farlo, attribuita a Guido Crepax, fantastico creatore del personaggio a fumetti, questa selezione, Valentina in Camera è sostanziosamente estranea alla sua considerazione della lunga vicenda della stessa Valentina. Specificamente, si tratta di una visione e interpretazione settoriale e mirata, a partire dalla stessa personalità della protagonista Valentina Rosselli, ufficialmente fotografa. In sequenza con percorsi personali e individuali, questa è una ulteriore visione estrapolata, erede di un cammino avviato almeno trent’anni fa, nell’ambito di una intenzione rivolta alle trasversalità sociali e quotidiane della Fotografia (a proprio modo e con proprie peculiarità presente nei fumetti, al cinema, giorno per giorno e, perché no?, in filatelia… e altro ancora).

Mancato nell’estate 2003, a settant’anni, Guido Crepax è stato avvicinato dal curatore Maurizio Rebuzzini nel corso degli anni Ottanta, proprio in relazione della combinazione di Valentina con la Fotografia: fino a una concentrata intervista pubblicata in Pro, del settembre 1989, successivamente riproposta in altre occasioni, tra le quali la commossa partecipazione alla sua scomparsa (in FOTOgraphia, del settembre 2003). Nel corso di questi incontri e contatti, oltre ad aver apprezzato l’estrapolazione soltanto mirata di Valentina (con e per apparecchi fotografici), lo stesso Guido Crepax ebbe modo di annotare e considerare come da un contesto complessivo ciascuno abbia modo (e tempo) per isolare istanti particolari e specifici: in questo caso, e in sottolineatura, alla Fotografia in quanto sovrastruttura.

Da domanda a risposta, prima di procedere nel commento qui dovuto. Domanda: All’inizio, Valentina ha avuto diverse macchine fotografiche; come mai, poi, usò soprattutto la fantasiosa Polly Max, tipo Rolleiflex biottica? Risposta: «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogenica. Poi mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fotografiche si debbono portare all’altezza dell’occhio. La Polly Max era congeniale alle esigenze del disegno».

Da cui e per cui, in questo ambito ufficialmente dedicato (alla Coscienza dell’Uomo), una selezione di tavole e/o fumetti, in estrapolazione dalle avventure dell’avvincente personaggio, sottolinea la consistenza di un compendioso studio sulla presenza degli apparecchi fotografici nelle avventure del più noto personaggio femminile del moderno fumetto italiano. Valentina Rosselli, di professione fotografa, passa con disinvoltura dalla Rolleiflex biottica all’Hasselblad; e non mancano altre dotte citazioni d’autore.

Con ordine, ora.

Tutti conoscono Valentina (oppure, tutti dovrebbero conoscerla), il leggendario personaggio creato dalla penna di Guido Crepax (1933-2003), uno dei maestri italiani del fumetto d’autore. Tutti la conoscono; alcuni per sentito dire, i più per aver letto le sue storie. Siccome nelle sceneggiature di Crepax fa spesso capolino un non celato erotismo, peraltro elegantemente risolto da un inconfondibile tratto grafico, Valentina ha finito per diventare uno dei sex symbol virtuali della nostra epoca.

È una gran bella figliola -con il tempo diventata donna, dalle inviolate forme-, che spesso e volentieri si mostra nuda, e che non disdegna di svelare le proprie fantasie sessuali: indifferentemente riferite al compagno di sempre Philip Rembrandt (già Neutron), agli amici e alle amiche di passaggio e di ritorno, come agli incontri più o meno casuali.

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Un poco forviati dal più eclatante aspetto erotico-sessuale, che si concretizza in un disegno di scrupoloso dettaglio (impeccabile stacco di gambe, chiappe da favola, amabili seni e vivace gioco di peli), non tutti hanno memorizzato che Valentina, al secolo Valentina Rosselli, di professione fa la fotografa. Dopo i tentennamenti iniziali, quando i connotati del personaggio non erano ancora definiti, a seguire, Valentina è stata una fotografa di moda, che si è divisa tra le sessioni in studio (in corso Sempione, a Milano), le scenografie esterne e le location all’aria aperta. Insomma, è stata una fotografa di moda a tutto campo.

Nel recente (?) luglio 2015, Valentina ha festeggiato cinquant’anni di carriera, datati dalla prima apparizione nella terza puntata di Neutron, personaggio dalla cui costola è nata, a pagina settantatré del numero quattro di Linus [in unica rievocazione “fotografica”, in FOTOgraphia, del luglio 2015, per l’appunto]. Dunque, per decenni, nelle avventure di Valentina, la macchina fotografica ha giocato ruoli e funzioni eterogenee.

A volte è stata soltanto un elemento grafico buono per completare la composizione di una tavola, ma in diverse occasioni è stata l’autentica protagonista della storia: a partire da Ciao Valentina del 1966 (in riedizioni, Ciao Valentina! o Ciao, Valentina!, con titolazioni modificate), nella quale dettagli casualmente e involontariamente inclusi nel secondo piano di fotografie di moda svelano un omicidio (singolare parallelo con il film Blow-Up, di Michelangelo Antonioni, al quale l’episodio sceneggiato e disegnato da Guido Crepax è cronologicamente anteriore).

Addirittura, in Valentina assassina, del 1975-1976, la macchina fotografica è a lungo sospettata di essere l’arma di una misteriosa serie di omicidi; così come in Baba Yaga, del 1971, le erano già stati attribuiti magici, oscuri e inspiegabili poteri medianici [successivamente, replicati in Safarà, numero 182 di Dylan Dog, del novembre 2001, dove e quando i poteri di un particolare obiettivo, applicato a una biottica di fantasia, trasformano i soggetti inquadrati in assatanati assassini, che infieriscono sulle proprie innocenti vittime, dilaniandole; per quanto, ancora, anticipati dal film La macchina ammazzacattivi, del 1952, titolo poco noto della filmografia di Roberto Rossellini, nel quale si racconta di Celestino Esposito, fotografo di un piccolo paese della costiera amalfitana (interpretato da Gennaro Pisano), uomo semplice, amante della giustizia, devoto a sant’Andrea, che incontra un curioso viandante -che si presenta come sant’Andrea-, che lo dota di poteri sovrannaturali: attraverso la sua macchina fotografica, può decidere la vita o la morte delle persone inquadrate].

Ma di quale macchina fotografica stiamo parlando? Di una in senso simbolico, ma di tante in ordine pratico.

Nel corso dei decenni, Valentina ha utilizzato macchine fotografiche diverse, anche se le preferite rimangono la Rolleiflex biottica, la Rolleiflex SL66 e l’Hasselblad completa di cappuccio rigido di messa a fuoco con lente di ingrandimento (codice 52096). Più raramente, si sono viste alcune reflex 35mm; qualche volta sono apparsi apparecchi a banco ottico; e alla fine degli anni Ottanta, con l’occasione di un accordo per la confezione Valentina di una monouso, si sono potute distinguere le forme di qualche medio formato Fujifilm.

Il più delle volte, queste attribuzioni sono dedotte, perché solo in pochi casi Guido Crepax ha completato il tratto grafico con le identificazioni dell’apparecchio fotografico raffigurato (e, tra le chicche, segnaliamo qualche primo piano dell’obiettivo della Rolleiflex biottica con tanto di iscrizione “Franke & Heidecke”: in La Marianna la va in campagna, del 1968, e nella già citata storia di Baba Yaga, del 1971). Addirittura, molte volte il marchio originario è sostituito dalla personalizzazione “Polly Max” volutamente anonima.

Anteprima di un approfondito studio che maturerà quando potrà farlo (quando il mondo italiano della fotografia comincerà a considerare le trasversalità e confluenza, oltre l’apporto crociano [da Benedetto Croce] dell’esistenza e della propria personalità sociale), questa mostra di significative situazioni fotografiche di Valentina, opportunamente intitolata Valentina in Camera, è stata allestita per essere esposta in occasioni opportune… tra le quali, questa. Per l’appunto.